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In Brasile, il deserto dei Lençóis Maranhenses, un miraggio sull’oceano
L’incontro mozzafiato tra il Sahara e le Maldive… È ciò che ricorda il grande parco costiero del nord del Brasile, fatto di dune e oasi. E dove, con le piogge, nascono lagune di smeraldo e cristalline.
Atilime de Sousa Garcia sogna a occhi spalancati: «Quando sarò grande, sarò insegnante qui». Dall’alto dell’immensa duna, la piccola meticcia di 9 anni osserva Queimada dos Britos, un’isola di verde da cui emergono alcuni tetti di paglia. Un deserto di sabbia immacolata e lagune d’acqua smeraldo circondano l’oasi. All’orizzonte, il sole tramonta dietro la linea blu dell’oceano Atlantico. Atilime non si stanca mai di salire sulla sua duna preferita per godersi lo spettacolo, trascinando la sua slitta di plastica. Più tardi, questa le servirà per scendere dalla sua montagna bianca per andare a gustare i frutti di cajús e guajirus che crescono ai piedi della collina. Poi arriverà il momento di una nuova salita in cima e di un’ultima discesa. Un altro giorno sarà passato, granello dopo granello, come in una gigantesca clessidra. Il campo da gioco di Atilime è il più grande sandbox del Brasile: il parco nazionale dei Lençóis Maranhenses, nello stato del Maranhão (nord-est del paese). Una lingua costiera di 1.150 chilometri quadrati – dieci volte la superficie di Parigi intra-muros – coperta per due terzi da dune. Nella sua parte meno accessibile, chiamata la «zona primitiva», circa 150 abitanti formano, da quattro generazioni, una comunità divisa tra due oasi vicine, Queimada dos Britos e Baixa Grande. Sono i discendenti di Manoel Brito, figlio di un’indiana caeté e di Garcia Brito, un nero che aveva scelto i Lençóis per sfuggire alla siccità del 1932 nello stato vicino del Ceará. Pelle meticcia e occhi chiari, i Brito hanno fatto prosperare il loro bestiame praticando al contempo la cultura su bruciato («Queimada dos Britos» significa «terra bruciata dei Brito»).
Queste linee sembrano essere state tracciate da Oscar Niemeyer
L’Atlantico bagna la facciata nord-orientale del parco mentre il fiume Preguiças ne circonda il perimetro a sud. A ovest, il deserto è delimitato da una manciata di borghi, tra cui il più grande, Santo Amaro (10.000 abitanti), non è il meno isolato: per raggiungere la prima strada asfaltata bisogna percorrere trentasei chilometri di un sentiero sabbioso e dissestato con un veicolo fuoristrada, ancora più difficoltoso quando è parzialmente allagato. In auto, il deserto dei Lençóis si guadagna.
In aereo, lo si ammira come una gigantesca opera di land-art composta da lenzuola bianche, simile agli imballaggi di Christo. Da qui il termine “lençóis maranhenses”, lenzuola del Maranhão, usato per descrivere questi falsi tessuti che sembrano asciugarsi al sole, mentre le loro pieghe, a seconda del vento, disegnano le arabesche tipiche dei deserti di sabbia. Ma questo possiede una particolarità che nessun altro può vantare: sotto l’effetto stagionale dell’accumulo delle piogge, un’effimera corrente di diamanti emerge sotto forma di “lagoas”, lagune a volte smeraldo o cristalline. In questo sorprendente deserto che si estende per settanta chilometri lungo la costa settentrionale della regione del Nordeste, cadono in realtà fino a 1.600 millimetri di pioggia all’anno, più che a Glasgow, in Scozia, ad esempio. Queste precipitazioni, concentrate da gennaio a giugno, trasformano gradualmente il paesaggio di mese in mese: tra ogni duna, le depressioni argillose si riempiono di acqua dolce. Così, alla fine della stagione delle piogge, si osserva un paesaggio che è senza dubbio tra i più spettacolari del paese. Doline che possono raggiungere fino a cento metri di diametro e diversi metri di profondità, con curve così perfette che ricordano quelle, sensuali, degli edifici pubblici di Brasilia tracciati dall’architetto Oscar Niemeyer. Ma è un paesaggio di cui bisogna diffidare. Quando non piove, le temperature possono salire fino a quaranta gradi e, in questo universo di sabbia riflettente, colpirti in testa. O addirittura farti perdere la testa, tanto il panorama supera l’immaginazione.
Spiagge paradisiache in pieno deserto, incrocio tra le Maldive e il Sahara, come è possibile? Questo fenomeno è dovuto agli alluvioni del fiume Parnaíba, che separa gli stati del Maranhão e del Piauí, a sud. Trascinati fino all’oceano Atlantico, vengono respinti dalle maree da 10.000 anni verso la spiaggia, poi dagli alisei verso l’interno. Al primo ostacolo, i granelli si accumulano fino a formare una duna. Non manca altro che la pioggia per trasformare gli intervalli argillosi in piscine.
A sud-est del parco, Barreirinhas, 50.000 abitanti, è la principale porta d’ingresso per i 60.000 turisti che visitano annualmente questo santuario dunario. Avvolta intorno a un braccio del rio Preguiças, il “fiume pigro”, in riferimento al suo corso indolente, la città è a due ore di barca dall’Atlantico. Qui si ferma l’asfalto. La sabbia si infiltra ovunque, invadendo strade e giardini. Le dune avanzano di venti metri ogni anno e rosicchiano la vegetazione. Ai margini del deserto, hanno già inghiottito case (e persino un aeroporto, già nel 1979, nella città di Tutóia). A Barreirinhas, una duna gigante cresce nel pieno centro della città, la sua pendenza scendendo fino al rio Preguiças. Sulla riva destra, 200 imbarcazioni e un’armata di 4×4 aspettano i turisti. Per i visitatori, il programma si riduce generalmente a un tuffo nelle lagune più vicine: lagoa Azul, lagoa Esmeralda o lagoa do Peixe. Una fuga di mezza giornata, senza dubbio indimenticabile ma che non è il genere di Maciel Brito: troppo facile, troppo preconfezionato! Proprietario del Roots Bar a Barreirinhas, Maciel, 29 anni, è nato a Queimada dos Britos. Quando non è occupato ad ascoltare reggae dalla mattina alla sera, è una delle guide più esperte del deserto. Un giovane capace di orientarsi fino alle oasi, senza altro aiuto che la sua conoscenza del terreno e degli elementi naturali. “Le dune si muovono con il vento, ma le conosco da quando ero bambino”, assicura. In sua compagnia, si possono attraversare i Lençóis in tre giorni e, nel cuore della “zona primitiva”, sperimentare la vita di comunità autarchiche poco toccate dalla modernità. Sempre a piedi. All’interno del parco, l’uso di veicoli a motore è infatti vietato ai turisti per non disturbare l’ecosistema dunario. Anche gli abitanti dovrebbero usare i loro quad solo in caso di emergenza medica. Ma le infrazioni sono numerose e questo vasto territorio è difficile da sorvegliare.
Si parte prima dell’alba, sotto l’occhio di avvoltoi neri
All’imbocco del Preguiças, sulla riva sinistra, ecco Atins. La via principale è un vicolo di sabbia bianca. È fiancheggiato da alti palmeti buriti che indicano la vicinanza dell’acqua, da un paio di “pousadas” (case di ospiti) e da una taverna che serve birra ghiacciata. Qui inizia l’avventura, ottanta chilometri di traversata sud-nord dei Lençóis. Primo riscaldamento, in questo tardo pomeriggio: due ore a calpestare le spiagge delle tartarughe marine e le mangrovie dei granchi prima di affrontare le prime dune, al crepuscolo. La notte sarà trascorsa a Canto do Atins, un villaggio di pescatori dove due pousadas servono i “migliori gamberetti del mondo”. Sarà breve: sotto lo sguardo di grandi avvoltoi neri, la partenza avviene prima dell’alba, per evitare il caldo. “Ma c’è sempre qualcuno che vuole partire a fine mattinata, con la scusa che vogliono tornare super abbronzati a São Paulo!” ride Maciel. Destinazione Baixa Grande, la prima delle due oasi che segnano il trekking.
Con l’Atlantico alle spalle, il deserto si apre ora allo sguardo. Sulla sabbia compattata dagli alisei, bisogna scalare una prima duna, in dolce pendenza, per poi scendere dalla sua faccia ripida. Prima di ripetere l’operazione, due, dieci, cento volte. Presto il sole brucia, il respiro manca, i muscoli tirano e la schiena si piega sotto lo zaino. Ma il sollievo può apparire dietro ogni cresta quando, come un miraggio, emerge una laguna dove ci si può immergere tra le piabinhas, quei piccoli pesci molto abili a esfoliare le pelli morte.
Si vorrebbe restare in questa zuppa primordiale, ma bisogna riprendere il viaggio. La sabbia è punteggiata e striata di tracce animali, lasciate da un gufo delle tane (coruja-buraqueira), un armadillo a sei bande (tatu-peba) o una volpe (raposa). Come il vestigio di una civiltà scomparsa, un pozzo petrolifero dismesso emerge tra due dune. Prima della trasformazione in parco, nel 1981, i Lençóis interessavano i cercatori di oro nero. L’oasi di Baixa Grande appare finalmente dopo otto ore di cammino senza ombra: sette case sparse, un gregge di polli, capre, maiali e cavalli, e un gruppo di uomini impegnati a scuoiare un preá (cavia selvatica) per la cena. “Ho visto arrivare qui persone in lacrime”, si diverte Dete Brito. Lei e suo marito Moacir, sulla cinquantina, sono abituati a ospitare i camminatori esausti sotto una capanna dove sono appesi amache. L’abitazione è di una rusticità estrema anche se un vecchio televisore trasmette programmi di varietà – per così dire immagini di un altro mondo. Dete, senza perdere la sua bonomia, riassume la sua quotidianità: “Ricevi